Dalla rivista “Uppa” (“Un pediatra per amico” ):
“Nessun bambino li fa da solo, è necessario un adulto”
«Non esiste nessun bambino che faccia un capriccio quando si trova da solo. Perché si strutturi un capriccio, è necessaria la compresenza del bambino e di un adulto. I capricci, infatti, sono fenomeni relazionali. Nascono all’interno della relazione, si svolgono all’interno della relazione e mirano (sia pure malamente) a modificare qualche cosa di importante nella relazione». Lo dice Paolo Roccato, psicoterapeuta e psicoanalista, nello “Speciale capricci” pubblicato dalla rivista Uppa, (Un pediatra per amico) , che ci ha gentilmente inviato il testo qui pubblicato per estratti.
«Sembrerebbe impossibile che un bambino sia davvero angosciato e davvero furibondo solo perché, per esempio, al supermercato vuole il gelato e la mamma non glie lo vuole comprare. Sembra davvero una assoluta insensatezza che dia tutta quella importanza a un gelato. Anche per questo il suo capriccio suscita risposte così irritate e controaggressive. Il fatto è che i capricci si svolgono sempre su due piani: l’uno, quello esplicito, che coinvolge cose sciocche pressoché irrilevanti per entrambi; l’altro, quello importante, implicito, di cui entrambi non sono consapevoli, se non in modo piuttosto vago. Per di più, quasi sempre ne è un pochettino più consapevole il bambino che non il genitore».
I più frequenti aspetti in gioco (visti dalla parte del bambino) sono i seguenti:
a) “Ho bisogno di un segno concreto del tuo amore per me, perché non sono sicuro che tu (in questo momento, o in questo periodo, o in ogni momento) mi ami”. Questo bisogno di rassicurazione sull’essere amato può dipendere da moltissime circostanze. Potrebbe essere che il genitore in quel periodo sia davvero distratto da preoccupazioni e problemi “da grandi”, che lo allontanano mentalmente e magari anche fisicamente dal bambino (...). Può essere che il bambino dubiti dell’amore dei genitori per lui, perché è in arrivo (o è già arrivato) un fratellino o una sorellina. “Che bisogno avevano di farne un altro? Forse li ho delusi”.
Il bambino potrebbe essere angosciato perché ha sentito che mamma e papà intendono separarsi, o ha visto
che realmente si sono separati. (...) “Sento te come distratto, addolorato, depresso, preoccupato, fragile, bisognoso, confuso, entusiasta per qualcosa d’altro, ecc., per cui temo (o percepisco) di avere perduto il tuo amore, e cerco una rassicurazione. Ho bisogno di mettere te alla prova”.
b) “Ho bisogno di sapere quanto potere ho io, sia in assoluto sia nella relazione con te”. Il potere è quella funzione relazionale che fa sì che un’altra persona faccia qualche cosa che altrimenti non farebbe. “Ho bisogno di mettere me alla prova”. Posso anche avere bisogno di verificare quanto tu accetti che anche io possa avere un po’ di potere su di te, e non solo tu su di me. Posso, infatti, essere angosciato sia se ho troppo potere sia se ne ho troppo poco. Ho bisogno di verificare quanto potere ho, da un lato per non sentirmi in balia soltanto di me stesso (cioè: non affidato a nessuno), e dall’altro lato per non sentirmi schiacciato dalla prepotenza degli altri,te compreso. (...) Certi atteggiamenti realmente prepotenti, realmente “sadici”, nascono dall’incapacità di soddisfare in altri modi il fondamentale bisogno di sentirsi riconosciuto come soggetto.
c) “Ti segnalo che non stai gestendo adeguatamente il tuo potere con me, mentre io ho bisogno che tu lo eserciti adeguatamente, in modo più chiaro, coerente ed esplicito, così che io possa orientarmi meglio e trovare così sicurezza”. In questo caso, col capriccio il bambino provoca l’adulto, per poter avere la percezione di essere importante per lui. Gli segnala che ha bisogno che nelle interazioni con lui vengano attivate funzioni “paterne”, benevoli ma ferme, che sanciscano i limiti e le regole. Ha bisogno, in sostanza, che l’adulto gli dica “No”, con fermezza e con chiarezza. Spesso, quella di ricevere regole ben definite e vincolanti è un’esigenza di percepire attorno a sé un mondo in cui ci si possa muovere con una sufficiente sicurezza, come potrebbe essere per noi adulti l’esigenza che si installino dei chiari ed univoci segnali stradali nel traffico convulso. La fermezza, la coerenza e la sensatezza nel porre le regole fanno parte dell’amorevolezza. E il bambino lo sente.
d) “Ho bisogno di sapere se la persona cui sono affidato è sufficientemente stabile e forte”.
Poche cose sono così angoscianti per un bambino come il constatare che l’adulto cui è affidato è una specie di fragile marionetta in suo potere. L’insicurezza devastante che ne deriva talvolta viene dal bambino affrontata assumendo lui la parte di quello “forte”, che impone il proprio volere. Ma, inevitabilmente, lo farà come può farlo un bambino, senza gran che di esperienza di vita. Sarà, allora, una specie di caricatura di “forza” e di “sicurezza”. Tenderà, così, ad assumere atteggiamenti dispotici, dittatoriali, che rischiano addirittura di intimidire l’adulto insicuro, soprattutto se si sente per qualunque motivo colpevolizzato verso il bambino medesimo.
e) “Ho bisogno di sapere che non sono solo affidato a te, ma che ho anche un certo grado di autonomia da te”. (...) Quando un bambino sente preclusa ogni possibilità di riconoscimento delle sue proprie competenze e del suo proprio realistico grado di autonomia, è possibile che, prima di disperarsi del tutto, cerchi di “forzare” l’adulto con dei capricci.
f) “Ho bisogno di percepire me come soggetto della mia vita e ti segnalo la necessità che tu te ne accorga e che mi riconosca in questo mio bisogno”. Il bambino ha bisogno che sia sistematicamente riconosciuto dagli adulti che si occupano di lui il valore del suo sentire, del suo pensare, del suo desiderare e del suo volere. (...) Per come si presenta il fenomeno “capriccio”, quasi mai i due che vi si trovano coinvolti (bambino e adulto) arrivano a cogliere e a “negoziare” il rapporto sul piano relazionale importante, che così rimane implicito: si fermano (quasi) sempre al solo piano di superficie, che, come entrambi più o meno chiaramente sanno, è pretestuoso. Questo ingenera frustrazione e rabbia in entrambi, sia mentre che si svolge la relazione del capriccio sia dopo, quando il capriccio è stato accantonato. Per fare questo, è indispensabile che sia individuato il piano importante implicito e che le interazioni proseguano su quel piano, abbandonando quello pretestuoso di superficie. (...) Attenzione: non tutto è “capriccio”. Ci sono espressioni eclatanti di angoscia disperata che non sono “capricci” e che sarebbe deleterio considerare tali. In esse, è differente la struttura relazionale: manca il livello superficiale esplicito concreto (come il gelato dell’esempio ricorrente).
Il bambino, per esempio, si rotola per terra, gridando disperato che a scuola non ci vuole andare. È visibilmente angosciato, ma sembra non sapere o non osare dire perché. Al bambino viene da imboccare la strada di questo tipo di attivazione relazionale così clamorosa (anziché le usuali modalità comunicative) quando sente o pensa di non poter trovare ascolto o aiuto per ciò che lo angoscia oltre misura. Può essere chesi vergogni o che si senta in colpa a mostrare ai genitori la propria angoscia e la situazione che la genera, e che dia per scontato che o non verrà creduto, o verrà disprezzato, o verrà sgridato e punito.
L’angoscia può essere innescata dalla paura per un pericolo reale (Per esempio: “Ci sono dei grandi che mi minacciano”), o per la previsione di una intollerabile umiliazione (“Dovrò cantare davanti a tutti, e non sono capace”). Queste comunicazioni disperate devono essere prese molto sul serio, facendo sentire al bambino che si ha una genuina intenzione di capirlo e di aiutarlo, e che si sta dalla sua parte.
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