lunedì 28 ottobre 2019

10 regole per giocare in serenità con i
vostri bambini


Il gioco è la dimensione esistenziale dei bambini: è la loro realtà. I bambini, infatti, attraverso il gioco imparano a vivere: non è solo un'attività che procura piacere, ma è funzionale alla loro crescita. Giocare significa sviluppare importanti abilità: dall'intelligenza creativa e sociale, alla manualità, alla coordinazione motoria.

Ma come deve rapportarsi con il gioco un adulto? Giocare con i figli può essere pesante, soprattutto dopo una giornata di lavoro. E le modalità di gioco possono risultare incomprensibili: noi genitori proponiamo un bel gioco educativo e nostro figlio ci chiede di fare il cagnolino al guinzaglio... e noi rimaniamo spiazzati. 

Ma cosa dobbiamo fare: assecondarlo o inventarci dell'altro?
Lo abbiamo chiesto alle  pedagogiste Elena Urso e Elisabetta Rossini che sul tema del gioco tengono dei laboratori dal titolo "Giochiamo insieme". 
"I genitori quando giocano devono assecondare i bambini e i loro desideri. Ma è sufficiente farlo per un quarto d'ora al giorno. Non c'è bisogno di diventare degli animatori per i propri figli, basta imparare a sfruttare tutte le possibilità di gioco che la quotidianità offre."

Ecco 10 consigli 

1 Con i piccolini basta la vostra presenza


"Con i bimbi piccoli è molto più facile giocare" spiegano le esperte. "A un bambino di uno, due anni, non importa tanto il gioco in sé, ma è più interessato alla presenza del genitore, che quindi può sedersi per terra vicino a lui e mettersi a scarabocchiare o fare delle costruzioni, seguendo le proprie inclinazioni. Il bambino non è ancora il comandante del gioco".

2 Lasciateli esplorare: così imparano a giocare da soli


Abituateli fin da piccoli a giocare da soli. Quando i bambini iniziano a muoversi, si divertono a esplorare l'ambiente. Quindi la cosa migliore è mettere in sicurezza un mobile con dei cassetti che il piccolo può tranquillamente aprire, chiudere e tirar fuori tutto quello che c'è dentro. 
In questo modo non solo accrescono la loro autonomia, ma sviluppano anche il piacere di giocare da soli che poi gli rimarrà per tutta l'infanzia. 


3 Assecondatelo al gioco: "facciamo finta che"


Quando sono un po' più grandi, dai tre anni, il gioco per loro più importante è quello di fantasia, il "facciamo finta che". Spesso questa tipologia di gioco è difficile da seguire per un genitore che non riesce a immedesimarsi nel pensiero magico del piccolo, il quale davvero vive il "facciamo finta" come realtà.

"Quando il bambino chiede di giocare con lui a questo gioco, il genitore deve assecondarlo: se vi chiede di giocare alla fattoria e voi dovete fare la mucca, anche se magari per voi non è molto divertente, dovete fare come dice. Questo tipo di giochi sono i più utili allo sviluppo dell'intelligenza creativaMagari potete provare a fare delle proposte per personalizzare il vostro ruolo, ma senza incaponirvi se il piccolo non è d'accordo. E' lui il regista del gioco di ruolo. Ma non preoccupatevi, non dovete passare la giornata a far la mucca: prima di iniziare dichiarate al piccolo che giocherete 15 minuti, poi dovete passare alle vostre attività di adulto.

Ovviamente devono essere 15 minuti totalmente dedicati, senza cellulare né interferenze. Potete mettere una sveglietta sonora, oppure dare un altro parametro: "giochiamo fino a quando arriva papà". Poi rassicuratelo: continuerete il gioco domani. L'importante è dare regole chiare che orientino i bambini e insieme dare anche una prospettiva positiva: "lo rifacciamo domani"". 


4 Inventatevi dei giochi da fare nel quotidiano


Oltre al momento di gioco esclusivo, potete sfruttare tanti momenti del quotidiano e trasformarli in giochi divertenti per lui e utili per voi.

Alcuni esempi.
Portateli al supermercato e inventatevi il gioco: "cerca la pasta con la confezione blu"; oppure: "metti nel sacchettino tre mandarini...".

A casa potete chiedere il suo aiuto per stendere i panni: "passami la molletta rossa per la canottiera...". In questo modo, oltre a divertirsi, apprende anche i nomi degli indumenti.

Anche in cucina ci sono tanti spunti di gioco.  
Fategli piegare i tovaglioli e tagliare la mozzarella (usando coltellini dalla punta arrotondata ma che taglino, altrimenti sarà solo frustrante), per lui sarà divertente e utile per allenare la manualità fine.

Oppure fatelo impastare, molto più emozionante che impastare le paste modellabili in commercio. Infatti impastando non solo la manipola, ma anche scopre come gli elementi dalle diverse consistenze si possono trasformare: la farina polverosa unita all'acqua liquida diventa una pasta morbida....
E non preoccupatevi se le prime volte mettendo le mani in pasta si arrabbierà sentendosi sporco, (per i piccoli lo sporco è una violazione del corpo). Nel caso interrompete e riprovate dopo qualche tempo. Piano piano lo abituerete a "sporcarsi".

5 Quando gioca da solo non disturbatelo


Quando un piccolo è nel suo mondo di gioco con le sue macchinine o bamboline e lo sentite parlottare e giocare, non disturbatelo. E' nel suo mondo "magico", sta vivendo una realtà molto importante per la sua crescita. Non pensate: "poverino è lì da solo, ora gli propongo di fare un "puzzle" assieme". Il vostro intervento sarebbe solo un'intrusione. Il vostro piccolo sta imparando che dentro di sé ha le risorse necessarie per gestirsi.


6 Lasciatelo vincere


Quando giocate con vostro figlio a fare una gara o a un gioco "strutturato" come il gioco dell'oca o il memory, lasciatelo vincere. 

Fino ai sei, sette anni i bambini devono essere liberi di sperimentare la loro onnipotenza. Non sono ancora in grado di mettersi nei panni dell'altro. Perdere per loro sarebbe solo un'inutile frustrazione, una crudeltà. Dopo i sette anni solitamente c'è uno scatto di crescita, capiscono le "regole del gioco" e sono pronti ad accettare la sconfitta. 
Ovviamente questo vale per quando giocano con un adulto; se si tratta della sorella maggiore il piccolo capisce che l'altro è più forte, ed è più disposto ad accettare di arrivare secondi. 


7 Limitate i giochi educativi


I genitori sono spesso ansiosi di regalare ai figli giocattoli educativi e didattici che stimolino l'apprendimento. "Ma fino ai sette, otto anno i giochi che maggiormente contribuiscono alla crescita sono quelli meno strutturatiil "facciamo finta", i giochi del quotidiano, come abbiamo visto sopra, i travestimenti o bambole e macchinine che danno la possibilità al piccolo di inventarsi le sue storie. I giochi strutturati (es. puzzle o giochi sonori...), invece, sono molto meno interessanti perché funzionano in un unico modo.
Fatto il puzzle una volta, è sempre uguale. Invece, il mondo delle bambole, i travestimenti, i dinosauri... permettono tante possibilità di gioco, stimolano l'immaginazione e la creatività.

E ovviamente via libera a tutti i giochi all'apertoAnche quando piove o fa freddo, copriteli bene e portateli fuori: saltare nelle pozze, arrampicarsi sugli alberi, correre, camminare, raccogliere le foglie, sono tutti giochi da incentivare, fondamentali per la coordinazione motoria. 


8 Leggetegli libri e raccontategli la sua storia


Un'altra attività da fare con i bambini è leggere. I libri stimolano il linguaggio e sono l'occasione di passare un momento tranquillo con mamma e papà. Rispondete alle loro domande sulla storia, osservate le figure, create un dialogo.
Verso i quattro anni raccontategli la storia di chi sono, chi erano i vostri nonni, i vostri fratelli... Per loro è importante sentire la loro storia familiare, è una magia, un gioco e contribuisce a formare la loro identità personale.


9 Non intromettetevi quando gioca con altri bambini 


A volte, quando non siete voi il compagno di gioco di vostro figlio e vi capita di osservarlo giocare con un altro bambino, vi stupite perché quasi non lo riconoscete. Il piccolo che con voi è un "dittatore" del gioco, con l'altro bambino è un gregario, quasi succube.
Ma non preoccupatevi, gli adulti vedono il gioco con parametri diversi dai piccoli.
"Tenete presente che fino ai cinque anni due bambini giocano insieme solo se uno è più forte. Non esiste la negoziazione. Ci deve essere un capo e un gregario. Se vi sembra che vostro figlio ricopra sempre questo ruolo e sia succube dell'altro, trattenetevi e non intervenite. In realtà è probabile che vostro figlio si stia divertendo un sacco, gli piace quel ruolo, lo sta sperimentando, magari è un bambino più riflessivo e che non ama esporsi... state tranquilli: se a  cinque anni si diverte a fare il gregario, non vuol dire che  lo sarà nella vita". 

Che fare invece quando il gioco tra amichetti si interrompe per un litigio?
"Sotto i cinque anni anni litigare fa parte del gioco. Inoltre in questo modo imparano a gestire il conflitto. L'adulto non deve intervenire (a meno che non degeneri in maniera violenta).
Dai sette anni un adulto può dividere i due litiganti, ma  senza colpevolizzare una delle parti. Basta chiedere che cosa è successo e cercare insieme una soluzione".


10 Limitate l'uso del tablet e i giochi digitali


E come comportarsi con i giochi digitali? 
"Senza demonizzare il tablet, che può essere certamente utile nei momenti difficili (un viaggio, una lunga attesa...), bisogna dire che è uno strumento davvero poco utile allo sviluppo dei piccoli. E' un dispositivo in realtà molto primordiale (si è visto che lo imparano a usare in fretta anche le scimmie!). Quindi il tempo che i piccoli ci passando davanti, se non proprio dannoso, è sicuramente inutile. Il genitore può concederlo qualche volta ma sempre limitando il tempo.
Leggi anche: Apprendimento bambini, limitare l'uso di tablet e smartphone
Un discorso un po' diverso vale per la televisione che può essere un bel momento di relax, magari dopo cena da vedere tutti assieme. L'importante è non lasciare un piccolo da solo davanti a uno schermo. Se proprio un genitore ha da fare, basta ogni tanto dare un occhio a cosa sta guardando, fare qualche commento, in modo che il piccolo ne senta la partecipazione. Ovviamente il tempo deve essere limitato e regolato dai genitori". 

lunedì 30 settembre 2019


Risultati immagini per bambini frustrati

Insegnate ai vostri figli a tollerare la frustrazione

Tutti abbiamo sperimentato e vissuto una delle emozioni più fastidiose che esistano, ma anche una delle più comuni: la frustrazione. Siamo frustrati quando non possiamo realizzare o soddisfare un desiderio, un sogno, un obiettivo o una speranza, almeno in un primo momento, anche se ci sforziamo molto. È il modo più chiaro con cui il mondo ci fa capire che, purtroppo, non sempre è un posto giusto.
Dato che non amiamo vedere tristi i nostri figli, in molte occasioni in casa non entra la frustrazione, dunque i bambini non la sperimentano. Quando giochiamo con loro, li lasciamo vincere perché pensiamo che potrebbero avere delle difficoltà a gestire l’emozioni e la frustrazione legate ad una piccola sconfitta oppure che potrebbero intristirsi. In questo senso, evitiamo che i nostri figli provino frustrazione.
Tuttavia, le reazioni emotive dell’infanzia determinano gran parte del futuro emotivo di una persona. Vale a dire che se oggi ci occupiamo delle emozioni negative, domani diminuirà l’incidenza di problemi associati a questo genere di sentimenti.
Conoscere ed imparare a gestire le emozioni negative fin dall’infanzia, in un ambiente sicuro come la famiglia, aiuterà i nostri bambini a sviluppare una serie di strategie per affrontare e regolare le emozioni, in modo da coltivare un Io sano in termini di maturità emotiva.

Perché è importante insegnare ai figli a tollerare la frustrazione?

Perché educare i figli a tollerare la frustrazione è un aspetto così importante? Perché la frustrazione è una delle emozioni più potenti che influenzano la costruzione dell’autostima di un bambino, quella che ne determina il valore e mette in evidenza gli aspetti su cui può migliorare. Per questo motivo, imparare a tollerare la frustrazione fin da piccoli permette ai bambini di iniziare a costruire le fondamenta della loro resilienza.
Questo significa che non si faranno dominare dalle emozioni negative che provano quando sono frustrati. Significa che se le situazioni che il bambino immagina come modi possibili per realizzare i suoi obiettivi non si verificassero o non servissero a nulla, il bambino disporrà di strategie per gestire le emozioni che derivano da circostanze di questo tipo.
I bambini intolleranti alla frustrazione di solito presentano come sintomatologia emotiva ansia o depressione. Inoltre, è molto comune l’insorgere di problemi di comportamento, come aggressività verso oggetti o persone, rabbia, atteggiamenti oppositivi nei confronti delle figure di autorità e, soprattutto, rifiuto di svolgere attività che non prevedano un rinforzo a breve termine.
Se i bambini non sono stati educati a tollerare la frustrazione, da adulti vedranno come una minaccia, e non come una sfida, i compiti che non prevedono un successo assicurato e che richiedono un certo impegno. Per questo motivo, spesso falliranno in questo genere di attività e si concentreranno più su altre che pur essendo potenzialmente più pericolose, come l’abuso di sostanze, garantiranno loro un rinforzo a breve termine.
Tutto questo non significa che bisogna abusare delle situazioni frustranti, ma nemmeno evitare che i bambini le affrontino e si mettano alla prova. Semplicemente bisogna lasciare spazio alle frustrazioni nelle dinamiche familiari, nello sport o in qualsiasi altra attività e che, quando arriveranno i momenti difficili e sgradevoli, dovremo accompagnare i nostri figli: dovremo aiutarli prima a riconoscere e ad attribuire un valore a quell’emozione per poi trovare soluzioni alternative.
È bene che siano i bambini ad assumersi la responsabilità di trovare una soluzione alternativa ai problemi quotidiani che sono alla loro portata. Non dobbiamo compensare noi i loro errori, altrimenti li priveremo della possibilità di allenare atteggiamenti essenziali come la pazienza, l’approvazione, la risoluzione di problemi, l’importanza del rinforzo o la creatività.

Consigli per insegnare ai figli come tollerare la frustrazione

Per insegnare ai bambini a tollerare la frustrazione, potete seguire questi consigli:
  • Dare l’esempio: non c’è niente di meglio per imparare l’espressione emotiva che vedere come i genitori verbalizzano i sentimenti che nascono dalla loro frustrazione.
  • Non far trovare sempre la pappa pronta: se facilitate i bambini in ogni cosa e non permettete loro di affrontare da soli le sfide della vita, è difficile che possano sbagliare ed imparare dai loro errori. Tenete presente che non potrete sempre essere presenti nella loro vita per evitare che inciampino.
  • Rispettare i loro tempi e i loro modi di fare: magari fanno le cose molto lentamente oppure lentamente e male, ma è il loro modo di crescere e di imparare. Dovete rispettare ciò che fanno, anche se commettono errori o non lo fanno come lo fareste voi. State lavorando affinché vivano l’errore come un’esperienza positiva e sviluppino la percezione del successo e della competenza personale, aspetti essenziali per costruire un’autostima solida.
  • Non cedere di fronte ai capricci, ma nemmeno minimizzare o annullare il loro pianto: le situazioni frustranti spesso portano ai capricci, soprattutto nei bambini piccoli. Se cedete ai capricci, i vostri figli impareranno che questo è il modo più efficace per risolvere i problemi. Inoltre, il pianto è una risposta necessaria, positiva. Piangere molto spesso è un passo previo per neutralizzare l’impotenza e sentirsi più preparati alla lezione successiva.
  • Convertire le frustrazioni in lezioni di vita: le situazioni problematiche sono un’ottima opportunità affinché il bambino impari ed assimili cose nuove, perché la frustrazione è un motore potente che accende l’elaborazione di alternative se il bambino non si arrende di fronte alle emozioni negative che ne derivano. In questo modo, potrà affrontare il problema da solo quando si ripresenterà.
  • Insegnare loro ad essere perseveranti: la perseveranza è essenziale per superare le situazioni avverse. Se i vostri figli imparano che con la costanza possono risolvere molti dei loro problemi, sapranno come controllare la frustrazione in diverse occasioni. Questa perseveranza, però, non per forza deve essere immediata o insistente, potete insegnare ai vostri figli a tornare sul problema una volta tranquillizzati.
  • Insegnare loro a chiedere aiuto in caso di bisogno: perché in questa vita non camminiamo da soli e possiamo imparare tanto gli uni dagli altri. Anche se possono imparare da voi in caso di necessità, i vostri figli possono anche cercare soluzioni per conto loro.
  • In definitiva, la frustrazione può essere un’emozione positiva se la si sa gestire, perché ha un valore motivazionale molto importante per chi non si lascia influenzare dalle emozioni negative che genera. Dato che tutti, in maggiore o minor misura, viviamo diverse frustrazioni nella nostra vita, se insegniamo ai nostri figli questa emozione e le possibilità ad essa legate, li aiuteremo ad avere successo in futuro e a sviluppare una personalità emotivamente più sana.

venerdì 12 aprile 2019



Nessun bambino è uguale all’altro, non possiamo sapere a priori quali siano le necessità di quell’esserino che abbiamo appena messo al mondo e per il quale vorremmo sempre ogni bene. Ricordiamoci sempre….un figlio non è un vaso vuoto da riempire! Anzi, ognuno ha un talento da esprimere, ma se non trova intorno a sé un terreno adeguato per farlo, finirà per implodere.


Un bambino che non sa riconoscere le proprie emozioni viene frequentemente etichettato come “bambino difficile”, dato che usa metodi tutti suoi per esprimersi.
E’ bene sottolineare che dietro un comportamento diseducativo si può nascondere una forma di disagio che non va assolutamente ignorata o, peggio ancora, etichettata in qualche modo, bensì accolta e ascoltata. È da comprendere che tipo di disagio si celi dietro degli atteggiamenti “difficili”.
Difficili, infatti, sono le situazioni e le circostanze che hanno vissuto. I bambini che hanno alle spalle eventi spiacevoli nella loro infanzia accumulano somatizzazioni e per difendersi si corazzano manifestando spesso atteggiamenti violenti, scontrosi, oppure si estraniano, si isolano, tanto da sembrare “difficili”

Cosa si cela dietro gli atteggiamenti difficili del bambino

Può succedere che mamma e papà, confusi dall’atteggiamento del bambino difficile, possano alzare la voce o cadere nella tentazione di assegnare castighi al piccolo. In queste circostanze, castighi e litigi non fanno altro che rendere più intense le emozioni negative del bambino. Punizioni e ramanzine possono ledere l’autostima del bambino difficile  e addirittura innescare un senso di frustrazione che con il passar del tempo potrebbe cronicizzarsi.
Ogni bambino si porta dietro il suo bagaglio emotivo, fin dalla nascita, anche se non ha molte esperienze di vita dirette, ha riempito il suo bagaglio con le impressioni di chi lo circonda. Un gioco di impressioni molto complesso, impossibile da decodificare ma la realtà è una: alcuni bambini necessitano di attenzioni più di altri e guai a negare attenzioni a un bambino bisognoso!

Il bambino difficile: il bambino che ha più bisogno

Un bambino difficile non ha le risorse per elaborare e quindi gestire un disagio emotivo. E’ troppo piccolo per acquisire l’autoconsapevolezza di “valere” nonostante qualche limite. Allora come bisogna comportarsi con un bambino difficile?
Innanzitutto bisogna riconoscere di avere un figlio che ha maggiori esigenze. Parliamo di bambini che piangano spesso, dormono meno del previsto, hanno reazioni esagerate agli eventi e possono passare dalla gioia (risate) al dolore (pianto) nel giro di pochi minuti. Questi bambini non sono “cattivi” e non vanno “strillati”, anzi, hanno bisogno di più sicurezze e di maggior sostegno.
Il mondo emotivo di un bambino difficile è ricco di emozioni quali paura, tristezza, solitudine, angoscia, rabbia e gelosia, emozioni codificate con atteggiamenti capricciosi e/o scatti d’ira. E’ necessario canalizzare queste emozioni in atteggiamenti positivi e qui il genitore deve rassicurare il bambino in modo permanente: il bambino deve diventare autonomo così da smettere di cercare continue attenzioni. Un bambino autonomo è in grado di fare richieste ai genitori senza rifugiarsi nel pianto o nascondersi dietro la rabbia.

Educare un bambino difficile

Far rispettare le regole a un bambino difficile è un compito arduo e faticoso, tuttavia le regole servono nella vita dei bambini ed è compito del genitore educare al benessere e alla comprensione emotiva.
“Dobbiamo capire che i bambini ci guardano e imparano da noi che è bello diventare grandi. Ecco perché da sole le regole non bastano. Ecco qualche consiglio su come educare un bambino difficile”

Il potere del rinforzo positivo

Il rinforzo positivo è una strategia educativa che consiste nell’abbracciare un bambino quando fa qualcosa di sbagliato. In genere, quando un bambino fa qualcosa che non dovrebbe, il genitore ricorre a punizioni o sgrida il piccolo, ma questi atteggiamenti innescano reazioni ancor più negative nel bambino.
Il rinforzo positivo si base sul dialogo con l’infante: avvicinatevi al piccolo e chiedetegli spiegazioni, usate un tono calmo ma molto determinato. Con altrettanta calma e determinazione dovrete spiegare al bambino perché ha sbagliato e mostrargli il modo corretto di agire. Con una punizione il bambino finirà per credere che lui è sbagliato senza capire il vero messaggio, cioè che solo il suo atteggiamento è stato sbagliato.
I bambini tendono a generalizzare, così ogni ramanzina è un affondo ancora più profondo nell’autostima in via di formazione del bambino: il bambino recepisce che la sua persona è sbagliata perché non arriva a scindere il giudizio che un genitore può avere su un singolo atteggiamento, dal giudizio che il genitore ha sull’intera sua persona.

Educare il bambino all’autonomia e alla felicità

Esistono molti libri e ricerche incentrate sulla giusta educazione da impartire ai bambini e non posso che consigliarvi il testo: “Le regole non bastano. Come educare i nostri bambini all’obbedienza, all’autonomia e alla felicità“.
Il libro è molto completo, pratico e chiaro, in primis vi spiegherà perché tanti bambini fanno fatica ad obbedire e perché tanti di noi faticano a insegnare e ottenere obbedienza e rispetto. Il libro è consigliatissimo perché spiega come possiamo concretamente ed efficacemente insegnare ai bambini le “giuste regole” e motivarli al benessere emotivo. In questo libro l’autore risponde a tante domande e accompagna il lettore, passo dopo passo, a scoprire il mondo dell’infanzia e insegna a condurre i bambini sulla strada dell’autonomia e felicità.

Il circolo vizioso della Fiducia

Il bambino ha bisogno di sicurezza, deve poter credere nel genitore e deve sapere che il genitore crede in lui. Questo è il circolo vizioso della fiducia che va alimentato quotidianamente.
Il bambino deve capire che esistono dei limiti da non oltrepassare e dei compiti da svolgere: gli adulti hanno compiti da svolgere proprio come i bambini. Ecco perché in premessa vi ho detto che i bambini ci osservano e imparano da noi che è bello diventare grandi! 
“I bambini non ci devono nulla: tutto quello che facciamo per loro deve essere a titolo amorevolmente gratuito. Tutto quello che ricevono lo renderanno poi ai loro figli”
Impartire dei compiti e dare fiducia ai bambini, significa fargli capire che sono capaci di fare molte cose, significa incoraggiarli all’autostima e autonomia.

Educare all’intelligenza emotiva

Come ti senti? Cosa provi? Sono domande importanti da fare a un bambino. I bambini spesso finiscono per confondere le emozioni senza riuscire a capire l’origine di ciò che provano. Educare all’intelligenza emotiva significa coltivare autoconsapevolezza. In questo modo, i bambini potranno sfruttare il cosiddetto sfogo emotivo…. ma attenzione, lo faranno solo se non si sentiranno giudicati!

giovedì 28 marzo 2019

Immagine correlataCOSA SUCCEDE ALLA COPPIA DOPO UN FIGLIO?


Come possa succedere io non lo so, ma succede ad ogni coppia, statene certe. Succede che l'arrivo dei figli vi ha trasformato in semplici coinquilini. Succede che tu e il tuo lui iniziate un percorso insieme, un percorso fatto di intimità, romanticismo, complicità e che poi, ad un certo punto, dopo che siete diventati genitori sempre stando insieme, vi ritrovate distanti e sconosciuti. All'improvviso.
Succede che tu sei arrabbiata con lui perché sembra non accorgersene, perché ve lo ritrovate accanto mentre russa beato mentre voi pensate a quanto siete cambiati e diversi da quelli che eravate. A quando vi siete incontrati per la prima volta, a quanto vi siete amati in modo folle e disperato, a quando la vostra vita andava su e giù dalle montagne russe delle emozioni. Voi vi arrabbiate per questo, pur sapendo che la colpa non è di nessuno, lui invece continua a russare.
Pensate a quando vi siete detti che i figli non vi avrebbero cambiati, che la vostra vita di coppia spericolata sarebbe restata tale anche in tre, o in quattro, o in cinque. Ripensate a quelle promesse e siete così arrabbiate per non essere riuscite a rispettarle che continuerete a piangere per tutta la notte.
Pensate che eravate bellissimi e complici, che ogni occasione era buona per passare del tempo da soli, che cercavate una l'approvazione dell'altro in continuazione. Pensavate che crescere insieme è faticoso, bello, ma faticoso. A tratti anche doloroso. Perché per strada avete perso la cura reciproca che avevate e si è spenta quella luce che vi faceva vedere l'altro senza difetti.
Avete smesso di parlare, prima parlavate di tutto, per ore, ma adesso ogni volta che ci provate c'è qualcuno che vi interrompe: per questo avete smesso. E invece di prendervi cura l'uno dell'altro, adesso avete i figli da curare che vi assorbono tutte le energie e vi lasciano stremati.
Non è che sia passato l'amore, quello c'è ancora, il problema è che non avete più il tempo di guardarvi negli occhi. E di toccarvi. Il problema è che avete una missione in comune, che pur facendovi camminare sullo stesso binario, non vi lascia il tempo di far incrociare le vostre strada, se non la sera tardi quando ormai le energie vi hanno del tutto abbandonati.
Un figlio non avvicina, né allontana, ma cambia le persone. E le coppie. E ci vuole tanta pazienza, tanto coraggio, molto spirito di sacrificio. Ci vuole di capire che l'equilibrio che prima poggiava su quattro gambe e due cuori ora si è spostato: di gambe ne ha sei, o otto, o dieci e di cuori tre, quattro, cinque. Per questo non può essere più come prima, perché gli equilibri sono cambiati, ma l'amore si è moltiplicato.
E anche se a volte sembra che ce ne sia di meno, non è così. È una nuova fase dell'amore, diversa da quella che abbiamo conosciuto, che non ci aspettavamo, ma che fa parte del cammino di ogni coppia. Si cresce, si cambia e ci si ama ancora, in un modo diverso che va conosciuto ed apprezzato a poco a poco.

martedì 12 febbraio 2019

L'AFFETTO NON BASTA, SERVE AUTOREVOLEZZA!

L’argomento “limiti e regole” è sicuramente il più difficile da affrontare in famiglia. Questo perché, quando si fa rispettare una regola, si finisce inevitabilmente per chiedersi:
“Sarò un buon genitore? Non sarò troppo severo?”
L’unica risposta a questa domanda si trova nell’intelligenza emotiva: il segreto è capire ciò di cui il bambino HA bisogno, non ciò che chiede a gran voce. E agire di conseguenza, costruendo un ambiente empatico, sensibile ma anche gentile e rispettoso. Un ambiente in cui ciascuno sa qual è il suo posto e lo occupa con felicità.

BISOGNO DI REGOLE
Le regole non servono solo a crescere persone educate, fanno bene al sistema nervoso e allo sviluppo emotivo. Sapere qual è il limite aiuta il bambino a sentirsi al sicuro; a sapere quali sono i confini dell’accettabile in quel mondo magico che è la famiglia. Le regole in famiglia hanno l’effetto benefico di aiutare lo sviluppo e il controllo emotivo, senza dover ricorrere a chissà quale laboratorio di educazione emotiva (comunque utile, ma a patto che ci sia questo lavoro a monte).
Al contrario, bambini che crescono in un ambiente carente di regole, sono più soggetti allo stress e a picchi emotivi incontrollati, poiché vivono in un ambiente altamente insicuro e mutevole. Non riuscendo a prevedere quello che potranno ottenere e quello che no, vivono in un perenne stato ansioso.

AFFETTO E AUTOREVOLEZZA
Se le regole sono necessarie, questo non significa tiranneggiare in famiglia. Cinquant’anni di studi psicologici e pedagogici ci hanno insegnato l’importanza dell’affetto, di un ambiente sicuro e confortevole e di una figura autorevole e non autoritaria.
Ma che differenza c’è tra autoritarismoautorevolezza? Il genitore autorevole riesce a spiegare le ragioni delle sue scelte e a coinvolgere emotivamente i bambini. Diventa una guida naturale, un punto di riferimento, una base sicura.
Accanto all’autorevolezza, che si ottiene attraverso: un comportamento sicuro di sé (ovvero, fatevi tutti i dubbi del caso, ma di fronte ad un bambino siate sempre fermi e irremovibili), un comportamento comprensivo, un comportamento orientato al dialogo, c’è anche l’affetto.
Questo però è un punto sul quale non serve lavorare particolarmente: ogni genitore ama i suoi figli più di tutto!

martedì 15 gennaio 2019

La vera natura 

dei capricci dei bambini

Dalla rivista “Uppa” (“Un pediatra per amico” ): 
“Nessun bambino li fa da solo, è necessario un adulto”
«Non esiste nessun bambino che faccia un capriccio quando si trova da solo. Perché si strutturi un capriccio, è necessaria la compresenza del bambino e di un adulto. I capricci, infatti, sono fenomeni relazionali. Nascono all’interno della relazione, si svolgono all’interno della relazione e mirano (sia pure malamente) a modificare qualche cosa di importante nella relazione». Lo dice Paolo Roccato, psicoterapeuta e psicoanalista, nello “Speciale capricci” pubblicato dalla rivista Uppa, (Un pediatra per amico) , che ci ha gentilmente inviato il testo qui pubblicato per estratti.
«Sembrerebbe impossibile che un bambino sia davvero angosciato e davvero furibondo solo perché, per esempio, al supermercato vuole il gelato e la mamma non glie lo vuole comprare. Sembra davvero una assoluta insensatezza che dia tutta quella importanza a un gelato. Anche per questo il suo capriccio suscita risposte così irritate e controaggressive. Il fatto è che i capricci si svolgono sempre su due piani: l’uno, quello esplicito, che coinvolge cose sciocche pressoché irrilevanti per entrambi; l’altro, quello importante, implicito, di cui entrambi non sono consapevoli, se non in modo piuttosto vago. Per di più, quasi sempre ne è un pochettino più consapevole il bambino che non il genitore».
I più frequenti aspetti in gioco (visti dalla parte del bambino) sono i seguenti:
a) “Ho bisogno di un segno concreto del tuo amore per me, perché non sono sicuro che tu (in questo momento, o in questo periodo, o in ogni momento) mi ami”. Questo bisogno di rassicurazione sull’essere amato può dipendere da moltissime circostanze. Potrebbe essere che il genitore in quel periodo sia davvero distratto da preoccupazioni e problemi “da grandi”, che lo allontanano mentalmente e magari anche fisicamente dal bambino (...). Può essere che il bambino dubiti dell’amore dei genitori per lui, perché è in arrivo (o è già arrivato) un fratellino o una sorellina. “Che bisogno avevano di farne un altro? Forse li ho delusi”.
Il bambino potrebbe essere angosciato perché ha sentito che mamma e papà intendono separarsi, o ha visto
che realmente si sono separati. (...) “Sento te come distratto, addolorato, depresso, preoccupato, fragile, bisognoso, confuso, entusiasta per qualcosa d’altro, ecc., per cui temo (o percepisco) di avere perduto il tuo amore, e cerco una rassicurazione. Ho bisogno di mettere te alla prova”.
b) “Ho bisogno di sapere quanto potere ho io, sia in assoluto sia nella relazione con te”. Il potere è quella funzione relazionale che fa sì che un’altra persona faccia qualche cosa che altrimenti non farebbe. “Ho bisogno di mettere me alla prova”. Posso anche avere bisogno di verificare quanto tu accetti che anche io possa avere un po’ di potere su di te, e non solo tu su di me. Posso, infatti, essere angosciato sia se ho troppo potere sia se ne ho troppo poco. Ho bisogno di verificare quanto potere ho, da un lato per non sentirmi in balia soltanto di me stesso (cioè: non affidato a nessuno), e dall’altro lato per non sentirmi schiacciato dalla prepotenza degli altri,te compreso. (...) Certi atteggiamenti realmente prepotenti, realmente “sadici”, nascono dall’incapacità di soddisfare in altri modi il  fondamentale bisogno di sentirsi riconosciuto come soggetto.
c) “Ti segnalo che non stai gestendo adeguatamente il tuo potere con me, mentre io ho bisogno che tu lo eserciti adeguatamente, in modo più chiaro, coerente ed esplicito, così che io possa orientarmi meglio e trovare così sicurezza”. In questo caso, col capriccio il bambino provoca l’adulto, per poter avere la percezione di essere importante per lui. Gli segnala che ha bisogno che nelle interazioni con lui vengano attivate funzioni “paterne”, benevoli ma ferme, che sanciscano i limiti e le regole. Ha bisogno, in sostanza, che l’adulto gli dica “No”, con fermezza e con chiarezza. Spesso, quella di ricevere regole ben definite e vincolanti è un’esigenza di percepire attorno a sé un mondo in cui ci si possa muovere con una sufficiente sicurezza, come potrebbe essere per noi adulti l’esigenza che si installino dei chiari ed univoci segnali stradali nel traffico convulso. La fermezza, la coerenza e la sensatezza nel porre le regole fanno parte dell’amorevolezza. E il bambino lo sente.
d) “Ho bisogno di sapere se la persona cui sono affidato è sufficientemente stabile e forte”.
Poche cose sono così angoscianti per un bambino come il constatare che l’adulto cui è affidato è una specie di fragile marionetta in suo potere. L’insicurezza devastante che ne deriva talvolta viene dal bambino affrontata assumendo lui la parte di quello “forte”, che impone il proprio volere. Ma, inevitabilmente, lo farà come può farlo un bambino, senza gran che di esperienza di vita. Sarà, allora, una specie di caricatura di “forza” e di “sicurezza”. Tenderà, così, ad assumere atteggiamenti dispotici, dittatoriali, che rischiano addirittura di intimidire l’adulto insicuro, soprattutto se si sente per qualunque motivo colpevolizzato verso il bambino medesimo.
e) “Ho bisogno di sapere che non sono solo affidato a te, ma che ho anche un certo grado di autonomia da te”. (...) Quando un bambino sente preclusa ogni possibilità di riconoscimento delle sue proprie competenze e del suo proprio realistico grado di autonomia, è possibile che, prima di disperarsi del tutto, cerchi di “forzare” l’adulto con dei capricci.
f) “Ho bisogno di percepire me come soggetto della mia vita e ti segnalo la necessità che tu te ne accorga e che mi riconosca in questo mio bisogno”. Il bambino ha bisogno che sia sistematicamente riconosciuto dagli adulti che si occupano di lui il valore del suo sentire, del suo pensare, del suo desiderare e del suo volere. (...) Per come si presenta il fenomeno “capriccio”, quasi mai i due che vi si trovano coinvolti (bambino e adulto) arrivano a cogliere e a “negoziare” il rapporto sul piano relazionale importante, che così rimane implicito: si fermano (quasi) sempre al solo piano di superficie, che, come entrambi più o meno chiaramente sanno, è pretestuoso. Questo ingenera frustrazione e rabbia in entrambi, sia mentre che si svolge la relazione del capriccio sia dopo, quando il capriccio è stato accantonato. Per fare questo, è indispensabile che sia individuato il piano importante implicito e che le interazioni proseguano su quel piano, abbandonando quello pretestuoso di superficie. (...) Attenzione: non tutto è “capriccio”. Ci sono espressioni eclatanti di angoscia disperata che non sono “capricci” e che sarebbe deleterio considerare tali. In esse, è differente la struttura relazionale: manca il livello superficiale esplicito concreto (come il gelato dell’esempio ricorrente).
Il bambino, per esempio, si rotola per terra, gridando disperato che a scuola non ci vuole andare. È visibilmente angosciato, ma sembra non sapere o non osare dire perché. Al bambino viene da imboccare la strada di questo tipo di attivazione relazionale così clamorosa (anziché le usuali modalità comunicative) quando sente o pensa di non poter trovare ascolto o aiuto per ciò che lo angoscia oltre misura. Può essere chesi vergogni o che si senta in colpa a mostrare ai genitori la propria angoscia e la situazione che la genera, e che dia per scontato che o non verrà creduto, o verrà disprezzato, o verrà sgridato e punito.
L’angoscia può essere innescata dalla paura per un pericolo reale (Per esempio: “Ci sono dei grandi che mi minacciano”), o per la previsione di una intollerabile umiliazione (“Dovrò cantare davanti a tutti, e non sono capace”). Queste comunicazioni disperate devono essere prese molto sul serio, facendo sentire al bambino che si ha una genuina intenzione di capirlo e di aiutarlo, e che si sta dalla sua parte.