venerdì 30 settembre 2016

L’OGGETTO TRANSIZIONALE



Ci sono bambini che non si separano mai dal loro orsacchiotto, dalla loro bambola o semplicemente dalla loro copertina. A un figlio regaliamo tanti meravigliosi giocattoli prima ancora che nasca, ma poi lui istintivamente è attratto da qualcosa, non perché particolarmente colorato o bello, ma semplicemente perché “sa di mamma”, di coccole, di affetto, gli scalda il cuore e, stringendolo a sé, sente riempirsi quel vuoto, quello spazio che scopre esistere tra lui e noi e che è uno spazio fisico ma anche simbolico. Quell'oggetto é, e sarà per parecchio tempo, il suo " oggetto transizionale"; rappresenta un legame forte e molto reale, perciò il suo valore è molto più che un’illusione.
Sul lembo di lenzuolo, sul cuscino, sul pupazzo, su un indumento della mamma o sul ciuccio, il bambino riversa emozioni, bisogni e desideri: lo coccola, lo stritola, lo morde, lo distrugge anche, scaricandovi frustrazioni e aggressività, sicuro di non esserne tradito, che quell’oggetto è lì per lui e sarà a sua disposizione, finché lo vorrà e ne avrà bisogno. 

Ma a cosa serve? Winnicott (famoso pediatra e psicoanalista) affidò all'oggetto transizionale il delicato compito di aiutare il bambino ad attraversare la fase dello sviluppo dell’Io e della differenziazione, che coincide con la nascita della consapevolezza di non essere una sorta di prolungamento della madre, ma un individuo separato da lei.
I più piccoli quasi si percepiscono un tutt’uno con questo oggetto, che poi piano piano scoprono essere qualcosa di esterno, ma su cui ancora sentono di avere pieno potere ed ecco che la transizione dalla soggettiva realtà interna a quella oggettiva esterna (al di fuori del loro controllo) è più sopportabile, perché avviene gradualmente tramite questa sorta di ponte.
Sempre secondo Winnicott, una “madre sufficientemente buona” sarà non solo capace di adattarsi al proprio bambino, di accudirlo in modo creativo e non meccanico e di favorire il suo sviluppo, ma anche – attraverso un certo grado di frustrazione ottimale che lo aiuta a crescere senza traumatizzarlo – di mettersi gradualmente da parte, riducendo la quasi simbiosi iniziale, per permettergli di diventare indipendente, comprendendo di non essere onnipotente.
Per superare l’angoscia del distacco, a partire dai 4-5 mesi circa, i bambini scelgono un oggetto per trarne conforto, rassicurazione, protezione. I cambiamenti, le scoperte, la crescita in generale sono processi che inevitabilmente creano ansia, confusione, smarrimento, frustrazione, perché comportano la perdita d certezze, un viaggio verso l’ignoto che è sicuramente più facile se non si affronta da soli.
Per tutta questa serie di motivi, non forziamo un bambino ad abbandonare il suo oggetto preferito, non proviamo a sceglierglielo noi né a cambiarglielo. Proprio per il fatto di essere “transizionale”, la sua presenza avrà senso solo durante una fase della vita del bambino, terminata la quale perderà il suo significato così forte e profondo (anche se il bambino potrebbe rimanervi legato per una sorta di affetto o ricercarlo durante momenti di particolare stress).
Se notiamo un morboso e persistente attaccamento alla “coperta di Linus”, un isolamento o un particolare disagio, non esitiamo a parlarne con uno specialista, ma, di solito, il bambino se ne distaccherà in modo indolore prima dell’ingresso alla scuola primaria, quando sarà ormai sicuro del legame e dell’affetto da parte dei genitori –anche quando non sono con lui- e riuscirà a delineare i confini della propria identità. Data l’importanza dell’oggetto, non dimentichiamo mai di portarlo durante i viaggi e – nel caso dovessimo proprio lavarlo – facciamo in modo che sia pronto quanto prima. Attenzione a darne al bambino uno di riserva, perché quasi sicuramente se ne accorgerebbe! Potrebbe essere utile portarlo in occasione di una visita medica o dei primi giorni al nido. Ricordiamoci però che esso non é un gioco, non va condiviso e che deve essere usato per consolare, rassicurare e confortare.

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